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Concorso Chesterton, ragazzi a duello: «È meglio essere pragmatici o idealisti?»

Come è andata a San Benedetto del Tronto, dove classi di ogni grado scolastico si sono sfidate sul tema. Perché «il mondo è vivo, siamo sempre in pericolo di vita»


di Annalisa Teggi da Tempi

Il 5 maggio si è svolta la giornata finale del Concorso Chesterton presso il centro educativo La Contea di San Benedetto del Tronto. Da Trieste a Città di Castello, da Roma a Bassano del Grappa classi di ogni grado scolastico hanno presentato le opere da loro realizzate sul tema chestertoniano proposto in questa edizione: «Il mondo è vivo, siamo sempre in pericolo di vita».

C’è chi ha realizzato teatrini e burattini di cartapesta su cui mettere in scena avventure piene del coraggio che scopre chi non si sottrae alle battaglie del vivere. C’è chi ha realizzato dei veri e propri film, scrivendo sceneggiature e cimentandosi poi nella recitazione e nelle riprese. C’è chi ha composto musica e parole, poi cantato la sua canzone. C’è chi si è cimentato nell’arte raffinata del racconto giallo.

Una via positiva

Ogni anno quest’evento, organizzato con dedizione ed entusiasmo dalla Scuola libera G. K. Chesterton di San Benedetto, testimonia che la buona scuola si fa, è un’opera alla portata di chi osa investire energie, creatività, tempo, sforzi pratici ed economici per amore di quel bene che è l’educazione. Le scuole libere e parentali sono linfa vitale nel tessuto del sistema dell’istruzione italiana, impolverato di protocolli, ingabbiato nelle griglie e perennemente in debito d’ossigeno. Che la cronaca nera sia sempre più spesso testimone di casi tragici che riguardano studenti sopraffatti dalla paura o dalla rabbia o solo da un’inedia che precipita nella depressione è un segno allarmante di fronte a cui non esiste solo lo sdegno e l’impegno a fornire un supporto psicologico più adeguato.

Esiste una via positiva e costruttiva che, di necessità, rovescia le carte in tavola. Chesterton la sintetizzò così: «Il vero compito della cultura d’oggi non riguarda l’espansione, ma una netta selezione – e un rifiuto. L’educatore deve trovare un credo e insegnarlo. Dicono che al giorno d’oggi le fedi si stanno sgretolando; io lo dubito, ma sicuramente le sette stanno crescendo e dunque l’educazione deve essere un’educazione schierata, e questo per motivi prettamente pratici. In mezzo a questa folla di teorie essa deve trovare il modo di scegliere un ideale; in mezzo a questo vociare rumoroso deve far in modo che si oda con chiarezza una voce; in mezzo a quest’esplosione orribile e fastidiosa di luci accecanti, senza neanche un’ombra che dia loro una forma, deve trovare il modo di individuare e seguire una stella» (da Cosa c’è di sbagliato nel mondo).

La verità non è una teoria

Scegliere un ideale. Avere una voce. Seguire una stella. Sono parole pericolose nel contesto scolastico attuale in cui anche solo un vago accenno a qualsiasi credo è assimilato a un nefasto fanatismo che merita reprimende e sospensioni. Per questo, difendere la libertà educativa oggi significa salvarsi dalla morte per annegamento nell’oceano della tuttologia generalista, così politicamente corretta da essere muta.

Nel contesto da vera contea hobbit di San Benedetto del Tronto è stata data ai ragazzi la possibilità di avere una voce e seguire una stella, ne è nata una piccola occasione per vedere delle anime vive all’opera. Gli studenti del triennio delle superiori che hanno partecipato al Concorso Chesterton sono stati chiamati a preparare e sostenere un dibattito.

E loro hanno riabilitato questa bella parola che vediamo svilita nelle caciare televisive in cui esperti e intellettuali fanno a gara a chi rigurgita più egocentrismo e livore verso gli avversari. Dibattere era una delle attività preferite da Chesterton che amava il confronto acceso perché era cosciente che la verità non è una teoria riposta su uno scaffale, ma è una conquista che ci sudiamo sul campo con tutti quelli che incrociamo.

Pragmatici o idealisti?

Agli studenti, divisi in squadre, è stata affidata una tesi da difendere e, seguendo la traccia di un vero dibattito filosofico, hanno affrontato a parole le squadre che difendevano la tesi opposta. La domanda di fondo su cui hanno dibattuto era la seguente: nell’avventura della vita è meglio essere pragmatici o idealisti?

È stato illuminante vedere come si accendono i volti non appena usano la voce per parlare in difesa di qualcosa. C’è chi è portato ad ascoltare l’avversario e a trovare i punti deboli del suo ragionamento. C’è chi è bravo nel porre domande che spiazzano l’interlocutore. C’è chi è molto reattivo nel botta e risposta del dialogo socratico. C’è chi sa raccogliere ed esporre conclusioni convincenti. All’inizio avevano un po’ di timore a prendere parola, ma alla fine erano sudati del sudore di chi ha riscaldato mente e cuore.

Come cavalieri nell’agone

Tutto è finito di fronte ad un’abbondante merenda a base di bruschette al pomodoro e fave fresche, mentre qualche residuo di discussione andava avanti in modo informale. È fatica spegnere un motore che si è acceso. E si sentiva citare Hegel, san Paolo, Giussani tra un sorso di Pepsi e l’altro. Pragmatici e idealisti, appunto. Perché alla fine la conclusione a cui sono giunti questi ragazzi battendosi come cavalieri nell’agone della parola è stato duplice: per mettersi a fare bene una cosa occorre avere un ideale, per far fiorire la bontà di un ideale occorre incarnarlo.

Il presupposto educativo molto pericoloso di seguire una stella (e non stordirsi di teorie) porta a risultati ancora più pericolosi, voci capaci di discernere e mettere a fuoco una verità convincente.

Qui il link all’originale:



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